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La fatica degli educatori


Oggi parlare di fatica in educazione è un argomento con molte sfaccettature. Nel sentire comune, non è riconosciuta come aspetto rilevante del mestiere dell’educatore, ma chi svolge questo mestiere prova quotidianamente il senso della fatica e della spossatezza che consegue al lavoro in campo educativo con tutte le utenze.


La fatica dell’educatore la dividerei in alcuni aspetti che mi sembrano di rilevanza:


FATICA EMOTIVA

Tantissima e continua, devi sempre essere sul pezzo, capace di interagire con l’educando in modo corretto: performante e attento alle richieste-esigenze. Accogliente, capace di dare risposte eque, senza intoppi emotivi. Così per otto ore al giorno. Ma gli educatori sono delle persone che non sono mai neutre, hanno vissuti, emozioni, pensieri che spesso interferiscono nella relazione educativa. Inoltre nelle relazioni educative complesse con utenti speciali: minori in difficoltà di ogni genere, carcerati, disabili, senza tetto, migranti, la gestione dello stress non è semplice e genera nell’educatore rabbia, sensi di colpa. Quanta fatica! Le emozioni dell’educatore si intrecciano con il dolore dell’utente, con i suoi vissuti complessi, questa commistione è spesso complessa e trovare il bandolo della matassa per il professionista non è mai una passeggiata.


FATICA FISICA Le emozioni dell’educatore incidono moltissimo sui lavori di relazione e di aiuto, generano contrazioni fisiche importanti se perpetrate nel tempo, che incidono nella vita del singolo operatore. Poi esiste una reale difficoltà di prestazione fisica e mentale che apparentemente non è comparabile ad altri lavori più manuali, ma esiste e spesso è consistente nell’arco della giornata. Sollevare pesi, spostare carrozzine, proporre attività ludiche di vario genere, freddo in inverno e caldo d’estate, il sonno perso per le urgenze notturne ecc.


FATICA DELLA RELAZIONE EDUCATIVA Sostenere una relazione educativa è complesso, intersecano tanti aspetti dei vissuti del professionista, alcuni molto nascosti che però innescano reazioni personali sfaccettate e con effetti non sempre lineari sia con l’utenza con cui si lavora, sia con i colleghi e l’equipe.


Come si esce dalla fatica? Dalla fatica spesso non si esce solo con il riposo o le ferie, gli aspetti emotivi, caratteriali e relazionali non si affievoliscono, permangono e per non andare in burn-out è necessario promuovere alcune accortezze che spesso per motivi economici non vengono attuate dai committenti o gestori del servizio: cooperative, stato italiano, enti morali, associazioni no profit ecc.

La supervisione in equipe è fondamentale nei lavori educativi. Permette di dissolvere i conflitti tra colleghi, ma non solo analizza le relazioni e l’intervento educativo e insieme si trovano vie sinergiche per lavorare con tranquillità con l’utente. Inoltre il professionista in supervisione analizza alcuni suoi atteggiamenti e interventi e ne analizza con serenità le criticità e il potenziale,la riflessione e alcune strategie adeguate possono nel tempo condurre alla soluzione.

La supervisione non è la panacea di tutti i mali, ma uno strumento attivo per intervenire con cognizione di causa su problematiche effettive del singolo e dell’equipe. Anche la scuola potrebbe prevedere la supervisione, alcuni eccessi degli insegnanti potrebbero essere appianati o risolti.

Le ferie e i riposi sono sacri inviolabili e la mancanza di personale non può essere un motivo di gestione nel tempo del servizio. E’ vero che manca personale specializzato, ma questo non deve essere prassi.

La formazione continua dell'educatore è sempre una prassi di cambiamento personale, di confronto con tecniche, saperi, approcci pedagogici diversificati dallo stato normale del lavoro, che innesca sempre atti di creatività e di elaborazione utili perché l’educatore trovi nuove strategie nel suo lavoro.

Cosa ne pensate? Come affrontare la fatica? Vi sentite che l’articolo che ho scritto abbracci le vostre fatiche?


Valeria


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